Da sempre tra i pittori Impressionisti, Edouard Manet è colui che mi affascina maggiormente. Forse perchè non si è mai conformato agli schemi prefissati dai canoni del tempo.
I valori di Manet sono, in primo luogo, valori pittorici, e si applicano ugualmente a un ritratto, a una scena di genere, a una grande scena di storia come a una natura morta. «Il suo difetto è una sorta di panteismo che non fa differenza tra una testa e una pantofola, che a volte dà più importanza a un mazzo di fiori che alla fisionomia di una donna». Così scriveva di Manet il critico Théophile Thoré.
Il modo di Manet di confrontarsi con la vita moderna è radicalmente diverso da quello degli Impressionisti che pure lo consideravano un riferimento (ma lui non vorrà mai esporre nelle loro mostre). Se gli Impressionisti tentano di bloccare sulla tela le infinite variazioni della pelle luminosa del reale nel suo continuo mutare, Manet ricerca, nel mutare del reale, forme e composizioni di solida, e quasi classica, costruzione. I contorni ben marcati a delimitare le forme, le campiture di colore piatto che costruiscono plasticamente i volumi, non hanno nulla a che fare con lo scintillare tutto di superficie effimera delle istantanee impressioniste.
L’artista parigino sta in quel ristretto novero di pittori che non sbagliano mai un quadro e i dipinti presenti in mostra ben testimoniano la grandezza assoluta della sua pittura.
Nel 1861 Manet partecipa per la prima volta al Salon, ottenendo buone critiche, ma le opere presentate in seguito verranno criticate aspramente.
Nel 1863 realizza ed espone al Salon des Refusés, il nuovo spazio espositivo che Napoleone III aveva messo a disposizione degli artisti respinti dal Salone ufficiale, “Le déjeuner sur l’herbe“, suscitando grande scandalo per la provocatoria raffigurazione di una donna nuda accanto a due uomini vestiti di tutto punto.
A Parigi Edouard Manet frequenta l’ambiente degli artisti che si riuniscono al Café Guerbois e alla Nouvelle Athènes: gli Impressionisti.
Anche se la critica ufficiale considera Manet un pittore impressionista, anzi, il padre dell’Impressionismo, lui stesso rifiuta questa collocazione e non partecipa mai alle esposizioni del gruppo.
Nel 1865 Edouard Manet intraprende un viaggio che lo porta a vedere e studiare le opere pittoriche in Germania, in Italia, nei Paesi Bassi e in Spagna, dove si lascia influenzare particolarmente dalle opere di Frans Hals, Diego Velázquez e Francisco Goya.
Dopo questa esperienza Manet si appassiona a scene spesso spagnoleggianti ed ai ritratti, ripresi con ampie e vivaci pennellate.
Ispirandosi alla Venere del Tiziano, Edouard Manet espone il nudo “L’Olimpia”, occasione di un nuovo scandalo nei salotti parigini.
Manet, che preferiva dipingere nel proprio studio, trascorse con Claude Monet ad Argenteuil l’estate del 1874, a dipingere “en plein air” sulla sua barca-atelier, guadagnando con la frequentazione del collega impressionista, toni più luminosi per la sua pittura.
Anche le nature morte sono un cavallo di battaglia fra i soggetti dipinti da Manet e, negli anni della sua vita artistica, queste composizioni raggiungono una leggerezza e perfezione inarrivabili, come i ritratti e gli interni di cui riesce a rendere la precisa atmosfera.
Edouard Manet muore a Parigi dopo lunga malattia il 30 aprile 1883 lasciando numerosi “imitatori”, oltre ai 420 quadri a olio, numerosi acquerelli e pastelli.